Il mio primo Passatore – di Ginevra Barroero

Luca Pacciolla, Medico Chirurgo Dietetica e Nutrizione Clinica

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In stazione a Rogoredo , due ragazzi ci puntano da distante, si avvicinano e con aria decisa ci domandano “Passatore anche voi?”. Per la serie il mondo è piccolo e gli svitati si riconoscono a pelle .

A Firenze, davanti alla stazione, sentirsi catapultati in un mondo parallelo dove prepararsi ad affrontare il Passatore è la normalità e tutto il resto è noia.

Igor che prima della partenza mi dice, “chissà se quest’anno resisto di più, l’anno scorso ho iniziato a imprecare dopo tot ore “ e sentirlo poi tirar giù un santo che il secondo km non era ancora finito (quindi dopo tot minuti).

Sulla salita per Fiesole tu che guardi rapita Firenze , bella là sotto col duomo e i tetti rossi e quello accanto a te che dice “oh tu guarda come si vede bene l’Artemio Franchi” (lo stadio)… per la serie anche il calcio è poesia.

Il caldo torrido, i ristori sovraffollati e l’acqua che manca… maledirti per non esserti portata una bottiglietta convinta di trovarne lungo il percorso. I privati che mettono a disposizione canne dell’acqua per dissetare i partecipanti o lavarli. I bambini che gestiscono uno “spugnaggio” improvvisato avvisando tutti che l’acqua non è potabile.

Borgo San Lorenzo, attraversare il corso centrale con i negozi aperti, guardare le vetrine come se stessi facendo shopping. Poi poco fuori incontrare Simona, a bordo strada, che fa assistenza agli amici dell’abbraccio, che nonostante tu sia sudata e stravolta ti abbraccia ti bacia e ti offre un caffè (che tu non accetti ma forse –col senno di poi- era meglio di sì).

Sulla salita per la Colla i ragazzi sloveni del pulmino verde con la musica pop folk a tutto volume che si spellano le mani applaudendo tutti e dicendo “bravò bravò” alla francese.

Il ristoro sotto alla Colla a Roncadi , le campane che scampanano festose, tu che improvvisamente hai il rigetto per le cose dolci e chiedi ad uno dei ragazzi “non hai qualcosa di salato?” e lui dal nulla che tira fuori un panino alla mortadella: santo subito!

La Colla, oh la Colla c’è altro da dire? Hai fatto 48,5 km prevalentemente in salita, sei arrivata al traguardo intermedio, sei ancora in forma e piena di energie. Ti aspettano un bicchiere di brodo caldo (Marco Lupo Solitario F. docet) e la discesa.

Il camper della Happy Runner poco sotto, parcheggiato a bordo strada, illuminazione da stadio e Vasco a bombazza “lalalalalalala fammi godere” , appropriato all’inizio della discesa.

IL 50esimo km sms a casa “Ho scollinato sono a metà. Baci”

La pasta in bianco di Casaglia, sedanini all’acqua di cottura. Una delizia che manco Cracco.

Correre nella notte, la lucetta in testa, il rumore delle scarpe sull’asfalto e poco altro.

La stanchezza, sentire che stai sbandando e non riuscire a farci nulla. Un runner con la maglietta rossa che ti passa e ti chiede se è tutto ok, tu che gli chiedi sto sbandando vero? Lui ti dice di sì e di fare attenzione poi scompare nella notte, tu di nuovo sola con le lucciole che ti tengono compagnia.

Arrivare ad un altro ristoro e capire che forse hai esagerato con brodo caldo e panini alla mortadella e decidere di prendere solo acqua gasata e una fetta di limone.

Il ristoro del settantesimo km, sedersi su di una panchina e pensare che non ti alzerai mai più. Sms a casa : 70esimo che fatica. Non so se mi rialzo da questa panchina.

Alzarsi, nonostante tutto, continuare.

Sbandare ancora , cercare di seguire la linea bianca del bordo strada senza successo. La sensazione che hai nel dormiveglia, in cui i suoni arrivano da lontano attutiti, il confine tra lo stato cosciente e il sonno.

Il ronzio di una bicicletta, domandarsi perché non ti supera. Una voce lontana , lontana che ti chiede: “tutto bene?”. E tu che ancora rispondi “sto sbandando vero?”. “Sì parecchio, stai bene?”. “Ho sonno mi sto addormentando” “C’è uno spiazzo lì, magari puoi stenderti un attimo” “No voglio arrivare all’ottantesimo km” “Perché?” “Perché ho letto che ad un certo punto la stanchezza ti abbandona, hai una proiezione extracorporea e ti vedi correre dal di fuori. Voglio vedere se è vero”. Lui che si rassegna ad avere a che fare con una pazza e ti racconta che ha male al sedere perché è in bici da troppe ore ed ha qualche problema perché ha bevuto una sambuca corretta caffè. Tu che grazie al supporto ti svegli e in qualche modo raggiungi il ristoro dell’ottantesimo dove -in mancanza di sedie – ti sdrai per terra.

Sms a casa: 80esimo sono spalmata sull’asfalto. Vorrei fare un pisolino.

Riprendere, camminare con lentezza, dandosi degli obiettivi, parlare da sola “arriviamo a qual cartello ok? Visto siamo arrivati? Adesso fino a quella casa, ok? Dai fino al prossimo ristoro ci siamo quasi”.

Scoprire ad un certo punto che qualcuno che si è fregato il cartello del 90esimo km, spiazzante perché nella tua testa c’è solo un obiettivo, arrivare al prossimo cartello … scoprire che te ne hanno fregato uno è come un tradimento.

Re incontrare il ragazzo della bicicletta che ti dice “ma ci sei ancora, non ci avrei scommesso un soldo che avresti ripreso … l’hai avuta la proiezione extracorporea?” “no, mi fa male qualsiasi cosa, ma almeno sono sveglia”.

Novantacinquesimo km, la relatività dello spazio tempo, i km si allungano e il tempo si dilata. Cammini con due runner di Bergamo uno chiede “cosa ti fa male? ” e tutti in coro “tuttoooo”

Da qualche parte fra il km95 e il 99 come un miraggio fuori dal cancello di una villetta, padre e figlia hanno allestito un ristoro caseraccio con acqua e torta fatta in casa . Più che il ristoro per il corpo è un ristoro per l’anima.

Km 99 ti domandi se non sia un sogno e qualcuno non abbia messo il cartello del 66 alla rovescia. Scatti una foto ricordo.

Km 99,5 capisci che ci sei, esci dal torpore ed inizi a correre, i pochi passanti (che in buona parte sono reduci del tuo stesso viaggio ) ti applaudono e ti incitano, superi persone con cui hai condiviso gli ultimi faticosissimi km, riesci a convincere qualcuno a correre con te.

Km 100 l’arco dell’arrivo, il tappeto blu: il viaggio è compiuto , il dolore e la stanchezza ti hanno abbandonato, le emozioni si sono cristallizzate, i sogni si sono dissolti, il tributo è stato pagato. Il tuo cuore batte forte mentre pensi che , parafrasando Murakami, su un punto non c’è dubbio… ed è che tu, uscita dal Passatore, non sarai lo stessa che vi è entrata.

Un pensiero su “Il mio primo Passatore – di Ginevra Barroero

  1. Che viaggio incredibile! Nonostante tutta la fatica..viene quasi voglia di provarci!chissa..una volta nella vita!! Bravissima!

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