Uno degli intenti di MULTISOCIAL3ining, ossia la parte Social di Multisport3ining, è quello di divulgare contributi di esperti, che possano appunto mettere a disposizione il “proprio sapere” per raggiungere sportivi e appassionati di tutti i livelli.
Per questo motivo, voglio ringraziare di cuore Mario Zampicinini, Psicologo dello Sport e Psicoterapeuta, per la disponibiltà che ha avuto nel proporre il suo contributo, mettendolo a disposizione di questo “conteniotre sportivo privilegiato”.
A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura.
“Gli approcci alla gara, qualsiasi essa sia, prevedono che essa venga pensata, immaginata, pianificata o focalizzandosi principalmente sulla prestazione o focalizzandosi soprattutto sulla sensazione del momento presente.
Per semplificare potremmo dire che la prima modalità si realizza perlopiù guardando il cronometro, i concorrenti vicini o da raggiungere, la prestazione massima possibile e stabilita a tavolino in base ai tempi di allenamento.
Secondo questa prospettiva andiamo in gara soprattutto guardando “fuori”, al risultato, alla strategia per superare quanti più concorrenti possibile, tirando al massimo e comunque al limite della miglior prestazione teorica realizzabile. Ad esempio un maratoneta che vale teoricamente 3.30 in maratona sarà sempre lì poco al di sotto dei 5’ al km, e non smetterà di controllare frequentemente il mantenimento del tempo.
La seconda prospettiva è quella che ci fa andare in gara”a sensazione”. In questo caso si tratta di essere focalizzati soprattutto “dentro” di sé, in ascolto del proprio corpo, in controllo della propria prestazione, calibrandola, soprattutto se si tratta di gare di endurance, sullla condizione percepita al momento.
Ovviamente non esiste una netta divisione tra gareggiare a sensazione o a prestazione. I due livelli spesso sono compresenti: uno è in primo piano all’attenzione dell’atleta, l’altro è in secondo piano.
Qual e’ atteggiamento è più proficuo?
Le variabili sono indubbiamente molte. Dipende se una persona è un’atleta elite, con una pressione sulle spalle da parte della società o degli sponsor, piuttosto che un amatore di alto livello, molto esigente con se stesso e molto competitivo ai fini della classifica finale.
Certo è che se “non possiamo perdere”, il nostro cervello è completamente impegnato a non uscire dalla concentrazione, a dare il massimo possibile, a controllare con meticolosità ogni più piccolo dettaglio. L’ansia, utile attivatore di energia quando è a livelli “ottimali”, diventa in questi casi un disturbo e un aspetto molto importante da tenere sotto controllo.
Diverso invece è gareggiare a sensazione. Per prima cosa l’atteggiamento di ascolto di sé e dei reali bisogni del proprio corpo vanno monitorati in allenamento. Un atleta, ad esempio, dovrebbe sapere a quale velocità partire per una gara. Teoricamente tutti dicono di saperlo fare. Nella pratica agonistica spesso si vede il contrario. Accettare che sia meglio rallentare all’inizio, non farsi prendere dall’ansia nel vedersi superare da molti, restare in contatto con sé e con la consapevolezza del proprio valore e dei rischi che si potrebbero incontrare con il trascorrere del tempo di gara, sono il fondamento per una gara “a sensazione”.
Quello che bisogna imparare a fare è mantenere la calma. Attivarsi, controllare eventualmente la propria velocità se si usa il cardiofrequenzimetro, ma non in modo maniacale, non parametrandosi sul massimo teorico possibile, non controllando ogni 2-3 minuti se si è al limite della soglia.
Tutto quello che viene effettuato nell’ascolto del proprio ritmo personale nello specifico giorno della gara, permetterà di avere una costanza di prestazione che potrebbe riservare piacevoli sorprese nel finale di gara, dove ci sarà ancora energia per chiudere in velocità.
Un altro elemento importante, sempre per le gare di endurance, è acquisire l’abilità di passare dal “dentro” al “fuori”, inteso però in questo caso come capacità di staccarsi dal monitoraggio propriocettivo,che alla lunga potrebbe anch’esso richiedere un’energia mentale notelvole, per guardare cosa c’è fuori, per lasciarsi catturare dall’ambiente che spesso è straordinariamente bello.
Qual è dunque la soluzione migliore? Dipende dalle scelte dell’atleta. Troppa pressione rischia di portare con sé delusione, se l’obiettivo non è raggiunto. Gareggiare a sensazione dovrebbe disporre ad un atteggiamento mentale più sereno, più disposto a percepire gli aspetti positivi, e alla fine, la probabilità di aver vissuto un’esperienza positiva, non sempre scarsa dal punto di vista del risultato.
Vale la pena provare entrambi durante la stagione agonistica, per capire quale sia l’esperienza che ci rende maggiormente soddisfatti. Per questo, infatti, gareggiamo. Se non sbaglio.”
Mario Zampicinini
Psicologo dello Sport, Psicoterapeuta